CORPI
“L’innocenza era il nostro fuoco. Dicevamo la verità. Mi mancano i ragazzi dolci nell’estate della loro giovinezza. (da Petals delle Hole)
Non so se Dio esiste. (Forse no. Forse ce lo siamo soltanto inventato al termine di una notte troppo buia per restare da soli), ma so che a volte c'é.
Nell'attimo improvviso di uno sguardo o in un gesto incrociato casualmente (“Niente é a caso", dice Marika con un sorriso, “Noi due qui, c'é un motivo"): dentro un corpo in movimento sulla musica di un giorno qualsiasi o una serata sbagliata. È proprio in una di queste sere che ho incontrato il corpo di Marika Vannuzzi.
La sua schiena, innanzitutto ("Lo so, è la prima cosa che tutti notano"): ampia, muscolosa e bellissima, comunicativa come quei suoi movimenti che da lì sembravano partire già pregni di senso per irradiarsi sul resto del corpo sensibile e ricettivo. Poi lo sguardo di chi sa vivere le cose fino in fondo con tutta sé stessa ("Facevo Maria, nella Passione secondo San Giovanni di Bach, e ho pianto in scena"). E allora non ha più molta importanza se la coreografia è quella che è e quella non è la serata giusta.
Era uno spettacolo di Danza Prospettiva di Vittorio Biagi e nonostante niente pareva funzionare ("Ma devi anche lasciarti un po' andare. Sei così analitico", fa lei. E' chirurgia tutto questo: non faccio che sezionare le cose), nonostante apparisse tutto così opaco e privo di luce (“Comunque pure nel negativo ci vedo sempre il positivo: lo faccio perché sicuramente ha un senso", spiega), lei era ugualmente qualcosa di splendido e commovente nella sua forza espressiva tanto densa e materica che potevi quasi toccarla, prenderla tra le mani e metterla fuori da ogni scena che non riuscivi proprio a condividere e, oltre ogni sbavatura, sentirla per ciò che realmente era: l'essenza di una magnifica ballerina.
Anche nell'errore, Marika era meravigliosa: " È quando uno sta per cadere e poi recupera, nel momento in cui sei sfatto che esci fuori davvero", dice. C'era Dio in lei su quella scena dimenticata da Dio (e pure dagli uomini: poco pubblico e sedie di plastica. Trovati le tue poltrone di velluto rosso Marika e il fuoco di una creazione bella quanto te, e poi ci saranno altri applausi e brividi e lacrime di gioia, e ancora più Dio).
In un primo momento era solo una ragazza dall'aria sana e sportiva (“E i piedi a papera", ride) con una grossa borsa in spalla che si guarda intorno. Poi è diventata una bellissima giovane donna simpatica e aperta seduta davanti a me al tavolo di un bar in un pomeriggio di sole caldo caffè d'orzo e tè al limone. E adesso, che è un po' che parla, è l'intensa ballerina dell'anima vista quella sera e tante altre in cui la danza e la vita quotidiana sono una cosa sola.
L'una proiezione dell'altra: “Il palcoscenico è una carta d'identità", dice, "In cui diventi te stesso. E in cui tutto traspare. Non puoi essere diverso da quello che sei. Nella danza sono come nella vita", indica con le mani il proprio corpo come dire: "eccomi qua", e sorride spontanea avvicinandosi un po' più a te. E tu che in un attimo ti accorgi che tutte le idee che ti eri fatto su di lei senza conoscerla erano esatte: Marika è una ragazza schietta vera e carnale in ogni cosa che fa: “mi piace sentire le cose a livello di tutto", va avanti, “uso tutti e cinque i sensi, voglio toccare, vedere, gustare, annusare: respirare con l'intero corpo e amplificare ogni sensazione. In scena io godo". Il linguaggio è una pelle, diceva Roland Barhes nei suoi frammenti di un discorso amoroso, io sfrego il mio linguaggio contro l'altro e la comunicazione di Marika ti tocca addosso con la sua epidermide pura e pulita che traspira il buon profumo alterato e sbiadito di una giornata di lavoro ("La danza è il mezzo col quale mi guadagno il pane") e quello della verità delle cose trasmessa senza filtri né sovrastrutture: con l'energia immediata delle sue parole e i gesti di carne. Ti guarda con quegli occhi vivaci pieni di idee, immagini e sentimenti che si muovono di continuo nelle sue pupille nocciola e col tenero languore di uno spirito ipersensibile, e non puoi fare a meno di ripensare a una frase che Claude Lelouch faceva dire a Pierre Arditi perso nello sguardo di Alessandra Martines in Hasard ou coincidences: "Dio è negli occhi di chi amiamo”. Dio, anche adesso, è in questa ballerina che ora pare danzare con tutte quelle parole che non trattengono mai una prepotente necessità di comunicare: "voglio riuscire a mettere in scena la vita", dice con entusiasmo, "dare un messaggio al panettiere come al mio vicino di casa. Ed arrivare ad una dimensione artistica dove ci sia un filo conduttore che tieni sempre in tensione e fai vibrare. Far riflettere sulle cose della vita, in un'introspezione anche, col suo peso. E fare in modo che la gente sia toccata dal mio linguaggio”. Il linguaggio dei sentimenti trasmesso da un corpo in stretto rapporto con la propria anima, “che è una macchina che devo sfruttare adesso", spiega muovendosi con energia sulla sua sedia, "perché poi non ha più valore.
Non mi ci accanisco più di tanto" (come dire: c'è qualcosa di più importante), "ma so che devo tenere costantemente in accordo. Un involucro fondamentale nella danza dentro una ricerca continua della perfezione che non deve essere autodistruzione, non ti ci devi mai fissare, ma usare come una materia plasmabile, la creta dello scultore. Il mio corpo l'ho cambiato tantissimo negli anni col maestro Biagi e con le lezioni di classico di Helene Diolot" (ex donna di Vittorio Biagi - un po’ gossip, please), "a piedi nudi o con le punte il fisico ti si modifica tantissimo. Non devi farti costrizioni mentali. Devi esaminarti e provare tutto. Perché è importante saper fare ogni cosa, per te e per il tuo coreografo che te la richiede. Definire il muscolo e saper isolare ogni parte del corpo al fine di comunicare la tua personalità mediante una gestualità differente. Il jazz, il moderno e poi il classico e impari che puoi essere un bravissimo ballerino ma se non hai né braccia né occhi... è il sopra che ti da l'interpretazione, le gambe devono tendere il movimento, dare il ritmo ma è il sopra che ti da la melodia. L'ho capito col jazz. Che ti porta fuori equilibrio, fuori asse e ti fa stare sempre sulla soglia di un burrone. E impari a rischiare e a non limitarti mai. L'impossibile non esiste. Cerco di dare 3 invece che 2. Io non avevo grosse doti fisiche" (a guardarla oggi non si direbbe), “ma tutto si ottiene col lavoro e il sacrificio. Devi insistere proprio su ciò che non hai: se lavori solo sui pregi questi possono diventare difetti mentre puoi trasformare i tuoi difetti in pregi. Per fare in modo che poi sul palco puoi rispondere bene a ciò che vuole la tua mente. Tutto è capitanato da lì".
Perché in realtà è un fatto di testa il discorso di Marika. "In fondo i passi sono stati fatti tutti", dice accendendosi una sigaretta e offrendotela "vuoi?" (piccolo gesto di generosità) - "ti dà fastidio se fumo?" (piccola gentile attenzione). "Non è che mi metto davanti allo specchio per una ricerca fisica che è già stata fatta. Quello che conta è come fai quel movimento, come lo vivi, come lo senti. E allora una piroette puoi farla drammatica. È il sentimento, è la tua storia che ti porta avanti".
C'è un'assoluta coincidenza tra i sentimenti e la storia di Marika. Una storia breve nella sua giovane età eppure piena di esperienze che l'hanno resa più matura dei suoi appena 23 anni ("ma quando a 13 anni stai da sola in Francia per ballare, ecco che cresci presto"): l'Opèra de Lyon (quasi un segno del destino) con Alain Astiè e poi i soldi che finiscono e il ritorno in Italia, il Balletto di Roma, gli studi con Sylvie Mougeolle ("la mia mamma artistica" - mentre Vittorio Biagi è il suo papà -). "Nella sua tecnica c'è tutto, e soprattutto ti da un'impronta al movimento) e poi Helene Diolot fino all'incontro, a 18 anni, con Biagi che come in un bel film la nota e la prende con sé nella sua rinnovata Danza Prospettiva: "e da quell'estate la mia vita è cambiata. Mi sono innamorata del suo lavoro. La sua visione dell'artista. Lui ti sa scavare in fondo. Molto molto in fondo: nel cuore". Un cuore, quello di Marika, così gonfio di cose ed emozioni che avverti di continuo, che hai paura che un giorno possa scoppiare trafitto dai troppi spilli insensibili di questo mondo. Un cuore che artisticamente ha sempre palpitato forte all'interno della compagnia di Biagi. "La buona strada", i "Carmina Burana", "La mia Sherazade", e ancora “Omaggio a Miles Davis" fino al “Requiem di Mozart", ogni passo di Marika (che bel nome) è stato fatto lì "perché non mi piace andare a destra e a sinistra”, prosegue, "non mi piacciono le cose di passaggio. Se vado al Balletto dî Toscana" (e lei è di Chiusi, provincia di Siena, e si sente nel suo graziosissimo leggero accento, quello strascinare la g di Biagi, in quel dire “mandimano, e tutti mi prendono in giro per questo", ride), "mi intrippa. Di fare la coreografia tanto per fare i passi non mi va. Non sono i passi, quello che succede durante le prove, ciò che ti può dare un coreografo che conta. In questa Passione di Bach, io che sono un’impulsiva, ho avuto la possibilità di un ruolo tutto interiore e dovevo tirare fuori qualcosa di mio che mi ha fatto assaporare altre parti di me. Quando fai la creazione col maestro Biagi te la vivi tutta con lui. Il Requiem è tutto diretto live: te lo sta montando su di te. E sa cosa può tirarti fuori, cosa mettere in evidenza. Sa benissimo che direzione prenderai. Anche se magari tu la senti in un modo e lui in un altro. Per esempio la Maria nella Passione di San Giovanni. Gesù che moriva e la rassegnazione, tutto è compiuto: io posso concepirlo in un modo ma nell'interpretazione finale c'è l'unificazione delle nostre visioni. È quello che sento io come lo concepisce lui. È come se ci si nutrisse della stessa energia. E a me si schiariscono delle cose, è un fatto così viscerale che l'interpretazione diventa ciò che hai provato. E nel momento in cui ballo la sto rifacendo io passo per passo, secondo per secondo, ed è quello che sento io. Ed ogni sera è diverso, anche se è la stessa cosa a quel punto non gli appartiene più. Lui ti mette davanti alle tue responsabilità, e poi sta a te sentirti la cosa, mantenertela o lasciartela sfuggire via".
Beve un lungo sorso del suo caffè d'orzo e si sporge più vicino a me quasi per farmi toccare quello che sta dicendo. Potrei ascoltarla e guardarla parlare fino a domani senza provare mai un momento di noia tanto è pieno di cose il suo mondo e tanta è l'energia e la sensibilità con cui te lo trasmette. E il suo mondo si muove e gioca in tutte quelle idee coreografiche che si porta sempre dietro nel corpo e nella mente e dentro il suo borsone col body sudato le scarpette e i libri. Ti racconta di una propria creazione per la compagnia di Biagi: ("J.T.V.C. maîs no peux" je te voulez changer mais no peux: io ti vorrei cambiare ma non posso): un'eccentrica surreale storia nella hall di un hotel su ciò che sarebbe potuto essere e sul destino di ognuno di noi, sugli incontri e ti accorgi sempre più di quanto tutto in lei sia la proiezione di un ragionamento sulle cose della vita, su quei piccoli o grandi eventi che la rendono a volte magica. E la danza è la sua chiave sensibile d'interpretazione. Il "Requiem dî Mozart" diventa un modo per riflettere "in una tensione continua sul filo del rasoio sulla guerra, la fame, la droga, la malattia e l'alienazione", spiega di quest'ultimo spettacolo di Biagi che pare sentire molto, "è un parlare dell'umanità a livello reale come spirituale con 3.000 sensazioni e devi estrapolare cose di te che neanche sapevi. È molto mentale. E soltanto mantenendo costante il sentimento riesci a farlo. La scena che eseguo all'inizio, il mio solo sulla guerra, questa donna spaventata dall'orrore, un'interpretazione che non si fa guardare ma va ricercata e io come interprete non la esibisco ma cerco di farci entrare lo spettatore con la sua sensibilità. L'estetica assume i caratteri dell'etica, saper prendere la vita e trasformarla nel proprio corpo con tutte le sue difficoltà e essere il proprio essere al meglio: l'estetica è già questo".
C'è forte il senso del sacro della vita nelle sue parole e che avvolge caldo e guida libere le sue azioni: "un tempo credevo che la danza fosse tutto, poi ho capito che non é così. Preferisco una crescita spirituale. Oltre ogni fatto egoistico, senza nessun attaccamento al successo, nessuna ambizione. Perché l'uomo è merda. Non è nessuno. Oggi ci sono e domani chi lo sa. È importante il percorso che fai".
È una strada segnata anche dal dolore la sua: “a un certo punto ti scatta qualcosa, anche a livello mentale, mi infastidivano certe situazioni, la gente che mi stava vicino, ma come, ci sono arrivata io e tu no! E i problemi fisici, le intolleranze alimentari, ero affaticata, lo stress, il troppo lavoro e l'addome che mi diventava come di ferro, i dolori acuti, faccio uno spettacolo a forza di adrenalina e poi mi ricoverano al San Camillo. Volevano operarmi, pensavano a una cisti ovarica, mi stavano per rapire ma io ho detto di no, mi fanno un'iniezione di Toradol, poi firmo e vado via. I dolori passano, faccio una visita iridologica, scopro le mie intolleranze alla carne rossa come allo zucchero raffinato, il latte, il caffè. E scopro che c'è dell'altro, c'è la religione". Mi mostra un libricino che ha tirato fuori dalla borsa: "Racconti di un pellegrino russo". “Parla della preghiera incessante", mi fa, io sfoglio quelle pagine consumate dall'uso e con un segno verso la fine, "è una chiave di preghiera che mi piacerebbe raggiungere e applicare nella mia vita: coniugare le due cose sarebbe bellissimo". Marika parla di religione e concetti spirituali con una semplicità e pragmatismo così forti che non noti in lei nessuna traccia di fanatismo o ottusità. Anzi, la sua religiosità è un'ulteriore apertura alle cose. Quel percorso di ricerca di sé – e dell'altro- che è in ogni suo passo: "l'importante è cercare, con costanza e coerenza. Crescere. E conoscere. Perché per essere veramente libero devi avere la conoscenza". E Marika sa che la libertà è prima di tutto libertà d'amare. Il sole tiepido del pomeriggio si scurisce verso una sera fresca e un anziano signore seduto vicino a noi si scusa per le spalle ("ma prego"). Poco più in là il teatro Vascello apre le porte ai primi spettatori. Una signora seduta al bar parla (da sola) ad alta voce e pare invecchiata precocemente, forse per qualche guaio, o per la mancanza di quell'amore che ti incide le rughe giorno dopo giorno. Marika finisce il suo caffè d'orzo. "L'amore è tutto", mi fa con gli occhi luminosi, "io per amore danzo, vivo con gli amici, la famiglia, con chi amo. Sono doni che mi sono stati dati. L'amore ti spinge a conoscerti dentro nell'altra persona. È in un posticino che non si sa dove sia: è un riccio che si schiude, una porta che si apre. Un percorso parallelo con l'altro e libero, che non ti soffochi col tuo peso" (se ami qualcuno lascialo libero, cantava Sting). “senza egoismi. Devi dare e poi puoi raccogliere. E devi imparare prima di tutto ad amare te stesso. Se no come fai ad amare gli altri. E accettarti, sapendo che non potrai mai cambiarti ma solo migliorare. Odio quelli che vorrebbero unificarti, renderti come vogliono loro. Cambiare la tua vita magari solo per frustrazioni personali. Le cose esistono perché ognuno è diverso, ogni vita è differente. Così nella danza: vorrei una compagnia mia fatta da individui ognuno con la propria diversità".
Un'altra boccata alla sua sigaretta. La matta se ne è andata. L'anziano educato no. E davanti al teatro c'è qualche persona in più. Continuiamo a chiacchierare in una sera d'estate così pregna dell'essenza di questa splendida ballerina. Parliamo ancora d'arte, che nelle sue parole diventa sempre sentimento puro e tangibile. Di musica ("che è la chiave della danza - oltre alla tecnica, certo - e se la conosci bene dai qualcosa di più all'interpretazione. La sostieni meglio. E allora io faccio le mie ricerche: da Miles Davis all'elettronica, da Philip Glass a Mozart"). E di pittura, del suo interesse per l'opera di Tamara De Lempicka: "con quelle figure femminili molto essenziali. Supplichevoli. Quelle forme morbide - mi piacciono le cose morbide – quasi volessero uscire dai quadri con la loro languidezza di una dolcezza sconvolgente e di forte sensualità. Adoro la sensualità quando è vera, viscerale e non un atteggiamento. "Vorrei fare una coreografia su di lei, far rivivere il suo mondo". E non le sarà difficile, anche Marika è come quelle donne, con la sua sensualità spontanea che fa la differenza nel corpo di una ballerina (perché la danza è soprattutto l'arte della sensualità: riguarda il corpo in rapporto con l'anima). " È l'arte più bella. È un po' come la scultura: tridimensionale. Ma con qualcosa in più, c'è la musica e la poesia. È senza limiti: può essere surreale, sfuggevole, concreta", continua, mentre la sera volge al termine, la gente davanti al teatro tra poco entrerà per lo spettacolo e poi ci sarà un po' di vuoto. "La danza è magica", fa ancora lei, "è come la vita. E l'amore. È un moto dell'anima. Una preghiera costante che io rivolgo a Dio che mi ha dato questo dono".
Il pubblico fuori dal Vascello è un acquario muto. Guardo Marika nei suoi occhi sinceri. Quegli occhi in cui Dio (o qualcosa di simile) ha lasciato di certo un po' di sé.
Sergio Lacavalla
Al di là del tempo, attraverso un ponte magico
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Scritto da Maria Raffaella Pisanu
Lunedì 01 Luglio 2013 07:49
Un sinuoso viaggio dei corpi-elementi attraverso la creazione, il recupero delle origini come guida per il ritorno: un'esperienza forte e meravigliosa quella di Timeless, al suo debutto romano con la White Cloud Opera ONLUS il 20 giugno 2013 al Teatro Olimpico di Roma.
La compagnia italiana di recente costituzione promuove la danza allo scopo di realizzare progetti benefici e sostenere la ricerca scientifica che dimostri i benefici del Gyrotonic e della Gyrokinesis, due dei più moderni sistemi di allenamento, tonificazione e sostegno la cui efficacia è stata comprovata anche per disabili colpiti da sclerosi multipla.
Quest'anno in particolare la serata del 20 giugno si è impegnata a festeggiare e sostenere – con tanto di dessert e spumante per tutti - il primo anno di attività della casa famiglia Raggio di Sole (la cui inaugurazione è avvenuta il 27 giugno 2012 dopo soli tre mesi di attivazioni burocratiche), una villa di Frascati che accoglie esclusivamente bambini, taluni portatori di handicap, sorta dalla caparbia iniziativa di Arianna Zampilloni in collaborazione con Orietta Ciammetti - già impegnata dal 2001nell'encomiabile progetto di accoglienza "La mia famiglia”. Nel regalare un sorriso in più ai bambini accolti da questo "angelo" dei nostri giorni, la serata intendeva promuovere l'idea stessa dell'arte impegnata nel sociale.
La prima romana di Timeless, già andato in scena a Berlino, dove ha fatto registrare il tutto esaurito, è stata presentata da una Rosanna Cancellieri ammirata dalla straordinaria sinergia all'interno del gruppo ed entusiasta all'idea di introdurre "una novità assoluta nel mondo della danza", ovvero l'uso del Gyrotonic all'interno delle coreografie. La conduttrice, spiegando lo spettacolo quale rappresentazione di come l'essenza intuitiva diventi forma corporea, ha parlato dell'estate come di un "tempo di sogni audaci", introducendo così lo spettatore nell'atmosfera onirica e sognante che è stato il leit-motiv di tutta la serata.
Timeless è difatti emozione prima che racconto, atmosfera prima che processo creativo, opera d'arte in sé, evocazione di forze soprannaturali che si intersecano e sovrappongono alle naturali umane energie.
Dai lenti respiri del direttore artistico Pietro Gagliardi, primo e simbolico alito di vita del gruppo stesso, si genera l'ordine delle cose, a significare che dietro la materia viene comunque, e sempre, uno spirito vitale, un alito profondo e potente fatto di pura energia globale, un "cosmo illimitato, un oscuro mare, [...] sorgente delle emozioni più pure e luminose" come le voci narranti vanno via via esplicando.
Ieraticamente alla ricerca del "sorriso dell'universo", il corpo statuario della bravissima Elisabetta Carnevale (consigliere della White Cloud Opera ONLUS assieme a Marika Vannuzzi, coreografa e regista del lavoro oltre che Master Trainer di Gyrokinesis), diventa la chiave stessa, quasi il fine ultimo di questa ricerca: è uno spazio puro e meraviglioso quello che si viene a creare attorno alle sue movenze precise e pulite, la sua stessa presenza sublima l'intera opera e sembra dare nuovo senso ai più di venti danzatori presenti sulla scena, ballerini professionisti e “artisti-terapeuti” che sono parte integrante della Compagnia.
La ieratica bellezza dei singoli viene così rafforzata dalle coreografie di gruppo in suggestioni uniche, in grado di far vibrare recondite emozioni anche grazie alle musiche scelte, che spaziano dalla Cinematic Orchestra a Philip Glass, da Ludovico Einaudi a Arvo Part, e ancora Davide Gagliardi, Victor Nebbiolo di Castri, Giovanni Sollima, Brian Eno & Peter Schwalm. Le orecchie del pubblico sono deliziate da melodie classiche da cui si dipartono ritmi tribali, sonorità ancestrali e moderni effetti elettronici, respiri interiori e feste corali. Lineari e puliti i costumi, opera di Fabrizio Rivelli.
Dall'intero sviluppo emerge un forte senso di tempo ciclico che, per quanto scorra inesorabilmente, riporta a un unico centro, una entità sottesa, al contempo misteriosa e chiarissima, magica e intima. Il maschile e femminile, l'uno e il molteplice, si ritrovano e si scoprono con gioia e disincanto in armoniosi intrecci di situazioni tra il comune e il paradossale, da cui non è difficile intuire l'essenza stessa dell'amore per la danza, un insieme di passioni e sentimenti dalla portata grandiosa ed eccezionale. Perché "La vita è assenza di tempo" nel "persistere di quel primo istante" che generò le stelle, come viene a concludersi l’opera, atto unico in undici quadri uno dei quali porta la firma originale di Juliu Horvath.
Danzatore ungherese vissuto a lungo in America, Horvath rivoluzionò la stessa idea di danza introducendo negli anni ’80 il Gyrotonic Expansion System, moderna fusione di danza e ginnastica sulla struttura complessa degli attrezzi del Gyrotonic.
A questa sostanziosa innovazione ha fortemente creduto il direttore artistico della manifestazione Pietro Gagliardi: danzatore di origine napoletana che da tempo usa questo metodo per rimettere in piedi ballerini 'difettati', a conclusione della serata Gagliardi ha ringraziato commosso il pubblico in sala, tra cui erano la coreografa Geta Constantinescu e lo stesso Horvath.
Anche grazie all’uso scenico di strumenti ginnici quali l’Archway, sistemato e fruito come si trattasse di un mistico portale per l’Aldilà, Timeless diventa un’occasione di riflessione sull’intensità e la profondità del movimento, un’esperienza di totale abbandono alla bellezza delle forme in uno spazio indefinibile e in un contesto fondamentalmente a-temporale. La coreografa Marika Vannuzzi descrive il tempo come “luogo della comunicazione e del transito degli affetti, crocevia delle emozioni, […] regno dei sensi, […] curiosità delle diversità, […] passaggio segreto dei desideri, ma anche solitudine e a volte disincanto”.
Il felice avvento di Timeless è stato preceduto da un Corso di Specializzazione di DANZA e GYROTONIC® organizzato nei giorni precedenti al debutto italiano da Maestri di fama internazionale fedeli ai principi del Gyrotonic in collaborazione con lo IALS di Roma.
Maria Raffalella Pisanu
Monterano's Tales
from
LONELY WOLF
2023 International Film Festival of London
In "Monterano's Tales", la regista Marika Vannuzzi orchestra una danza vibrante ed evocativa tra il regno dei vivi e quello dei morti. Questa sinfonia visiva di corpi colorati in movimento su uno sfondo di pietra grigia e senza vita è una testimonianza del genio creativo della Vannuzzi e della straordinaria capacità di forgiare un dialogo di armonia e discordia. Traendo ispirazione da una varietà di classici di culto e leggende cinematografiche, il film di Vannuzzi si erge come un capolavoro originale nel mondo della danza e del cinema poetico.
Al centro di "Monterano's Tales" c'è una serie di incontri brevi e intensi che sfidano la percezione dello spettatore della vita, della morte e della natura transitoria dell'esistenza. La Vannuzzi intreccia magistralmente questi fili disparati, che ricordano la genialità stilistica di "Persona" di Ingmar Bergman e la bellezza eterea di "Scarpette rosse" di Powell e Pressburger. L'arazzo visivo del film è ulteriormente arricchito dalla sua cinematografia evocativa, che trasporta senza sforzo lo spettatore in un regno in cui i confini tra realtà e fantasia si confondono e si dissolvono.
La coreografia di Marika Vannuzzi è una fusione mozzafiato di passione, precisione ed emozione pura. I movimenti fluidi ei gesti espressivi dei ballerini riecheggiano le dinamiche metodologie anatomiche di Gyrotonic e Gyrokinesis di Juliu Horvath, aggiungendo profondità e sfumature ai temi centrali del film. La vibrante interazione tra i ballerini e la pietra fredda e inflessibile è una potente metafora dell'eterna lotta tra la vita e la morte, nonché una toccante esplorazione della condizione umana.
L'atmosfera onirica del film è punteggiata da momenti di netto realismo, non dissimili dalle giustapposizioni surrealiste nelle opere di Luis Buñuel e David Lynch. Questo delicato equilibrio tra il fantastico e il radicato conferisce a "Monterano's Tales" una qualità unica e inquietante che permane a lungo dopo che il fotogramma finale sfuma nel nero.
In un'era del cinema sempre più dominata dal superficiale e dalle formule, "Monterano's Tales" emerge come una boccata d'aria fresca. L'approccio visionario della Vannuzzi alla narrazione e il suo incrollabile impegno per l'integrità artistica rendono questo film un must per gli amanti della danza, della poesia e del cinema. Con il suo ricco arazzo di emozioni, movimento e immagini, "Monterano's Tales" è un'esplorazione trionfante dell'esperienza umana, trascendendo i confini del genere e sfidando le aspettative convenzionali.
by ADRIAN PEREZ